Parte Canto del Maggio festival 2024 il 17 agosto con il folklore toscano e il 18 col canto del maggio e lo spettacolo folklorico di ballo. Per i particolari seguire la pagina facebook https://www.facebook.com/cantodelmaggio.festival.
Di cosa tratta il maggio Santa Genoveffa che i Cantori dell’antico maggio della Garfagnana metteranno in scena il 18 agosto alle ore 15 nel Pratogrande di Varliano (stupenda selva di castagni) del comune di Sillano Giuncugnano?
La vicenda di Santa Genoveffa raccontata nel maggio
In un tempo lontano e in un luogo senza nome, viveva Genoveffa, figlia del Duca di Bramante, donna di straordinaria bellezza e virtù e sposa del Conte Sigfrido, un uomo nobile e potente, da cui aspettava un figlio. Gli sposi erano uniti da un amore sincero e fedele, il castello era adorno di molte ricchezze e la contea prosperava, governata con saggezza ed equità.
Ma un brutto giorno, all’improvviso, tutto mutò e la felicità e la pace furono bruscamente interrotte dalla notizia dell’avanzare dell’esercito spagnolo: il Conte fu, dunque, costretto a muoversi in fretta con i soldati per difendere i suoi possedimenti e le sue genti. Prima di partire, affidò la cura del castello e dell’amata sposa al suo fidato fattore, Golo, che lo rassicurò delle sue attenzioni. Non appena il Conte partì per la guerra, però, Golo, in realtà falso e malvagio, cominciò a insidiare Genoveffa, deciso ad approfittarsi di lei.
La Contessa, senza mai cedere alle sue richieste, ma temendo per la propria sorte, escogitò un piano, pensando che la soluzione migliore fosse quella di inviare un suo servo al campo di battaglia, affinché informasse Sigfrido della situazione. Golo, origliando una conversazione fra Genoveffa e il servitore, comprese ciò che aveva in mente la donna. Deciso a non perdere la sua onorabilità davanti al padrone, sfidò il servo a duello e lo uccise. Per giustificare l’accaduto calunniò la Contessa presso il castello e la fece imprigionare.
Nel mentre Golo informò Sigfrido che la sua sposa gli era infedele: il Conte, con il cuore colmo di rabbia e delusione, e in preda alla disperazione, scrisse una sentenza di morte per la sua sposa, affidandone a Golo l’esecuzione.
Genoveffa, nel frattempo, diede alla luce il bimbo in prigione assistita da Berta, la dolce figlia del carceriere, che ne condivideva le pene e le preghiere, aiutandola e confortandola come meglio poteva.
Non appena Golo ricevette la sentenza, ordinò ai soldati di portare Genoveffa e il suo bambino nella foresta e di giustiziarli entrambi. La Contessa compì allora un ultimo gesto: affidò a Berta una lettera per il suo sposo, in cui spiegava l’inganno e le calunnie di cui era stata vittima, ma in cui anche dichiarava, con l’animo puro e religioso che le era proprio, di aver perdonato il male che le era stato fatto. I soldati, mossi a pietà dall’atteggiamento della Contessa e dal bimbo neonato che teneva in braccio, non ebbero il coraggio di ucciderli e li abbandonarono nella foresta, portando a Golo, che aveva chiesto la prova dell’uccisione della donna, gli occhi di un cane. Genoveffa, giurando ai soldati che mai sarebbe ritornata al castello, trovò riparo con il bimbo in una grotta, dove cominciò a vivere tribolando e pregando incessantemente per la salvezza e la giustizia divina.
Sigfrido, tornato vittorioso dalla guerra con le sue truppe, ricevette la visita di Berta che gli consegnò la lettera della Contessa spiegandogli come si erano svolti i fatti nella realtà. Il Conte mandò, dunque, a chiamare Golo che, incalzato dalle domande del suo padrone e vinto dalla vergogna, si uccise.
Passarono gli anni e il Conte, piegato dal rimorso e dal dolore per la perdita della sposa e del figlio, conduceva una vita ritirata. Un giorno, spinto dal suo scudiero ad andare a caccia, nell’inseguire una cerva entrò nella grotta in cui da sette lunghi anni abitavano Genoveffa e il bambino. Riconosciutala, inginocchiandosi le chiese perdono, mentre baciava fra le lacrime il piccolo. Genoveffa, con il cuore colmo di amore e comprensione, lo perdonò, riconoscendo la sincerità del suo pentimento. Insieme tornarono al castello, non senza aver prima ringraziato l’Altissimo per averli salvati.
Testo curato da Simona Tamara Nobili