Il Maggio de “La Pia de’ Tolomei” rappresenta un punto di svolta nel repertorio tradizionale. Abbandona i vasti campi di battaglia e l’epica cavalleresca di Orlando e Rinaldo per esplorare il dramma borghese e sentimentale, seppur ambientato nel medioevo. Il conflitto si sposta dalle armate nemiche ai corridoi di un castello; non è più uno scontro di spade, ma un conflitto dell’anima.

Virtù, tradimento e fedeltà sono le tre colonne su cui poggia l’intera struttura emotiva e narrativa dell’opera, portate in scena con la tipica chiarezza morale che il teatro popolare richiede.


la virtù assoluta: l’innocenza di pia

Pia de’ Tolomei è l’archetipo della vittima innocente. In lei la virtù non è un semplice tratto caratteriale, ma è l’essenza stessa del personaggio. Il Maggio, che necessita di figure immediatamente riconoscibili, la dipinge come la sposa devota, la dama gentile e l’anima pia, incapace di concepire il male.

La sua virtù non è combattiva; è una virtù che resiste passivamente, che subisce l’ingiustizia. È proprio la sua purezza cristallina, sottolineata dai canti e dalle sue ariette, a rendere il tradimento che subisce ancora più oscuro, crudele e ingiustificabile. Il pubblico non ha mai dubbi sulla sua innocenza, e questa certezza genera la pietas, la compassione che è il vero motore emotivo del dramma.


il doppio tradimento: la calunnia e il marito

Il tradimento è il motore dell’azione, e in questo Maggio si presenta su due livelli distinti e concatenati.

Il primo tradimento è la calunnia. È l’inganno che mette in moto la tragedia. Spesso, nella drammaturgia popolare, questo ruolo è affidato a un antagonista chiaro (un rivale respinto, un servitore invidioso) che, attraverso la menzogna, insinua il sospetto. Pia viene falsamente accusata di adulterio, il tradimento più grave per l’onore di un casato.

Il secondo tradimento, quello più profondo e tragico, è quello di suo marito, Nello della Pietra. È lui il vero antagonista emotivo. Nello tradisce la fiducia di Pia. Invece di essere il suo protettore, diventa il suo carceriere e, di fatto, il suo assassino. Accecato da un concetto rigido e distorto di onore, o semplicemente dalla gelosia, egli non crede alla virtù della moglie.

Il suo tradimento consiste nel mancato riconoscimento della virtù. Portandola nel Castello della Pietra, in Maremma, egli compie l’atto finale di sfiducia. La Maremma stessa, con le sue paludi e l’aria malsana, diventa il simbolo e lo strumento di questo tradimento, un luogo desolato dove la virtù viene lasciata morire.


la fedeltà oltre la morte: il perdono

Di fronte al tradimento totale del mondo, Pia risponde con una fedeltà incrollabile.

Questa fedeltà si esprime in due modi. Prima di tutto, è fedeltà coniugale: Pia proclama la sua innocenza fino alla fine, non ha mai tradito il marito e lo afferma con disperata costanza.

Ma la sua è soprattutto una fedeltà morale e religiosa. Anche quando viene imprigionata ingiustamente, Pia non cerca vendetta, non maledice il marito. La sua sofferenza è nobilitata dalla preghiera e dall’accettazione.

Il culmine emotivo del Maggio, che tocca le corde più profonde del pubblico contadino e devoto, è il perdono finale. “La Pia” è un dramma cattolico: morendo (come ricorda Dante, “Siena mi fé, disfecemi Maremma”), lei perdona Nello. Questo gesto è la sua vittoria spirituale. Dimostra che, mentre il tradimento e l’ingiustizia hanno potuto distruggere il suo corpo, non sono riusciti a corrompere la sua anima virtuosa.

Sempre la Pia

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